26 Aprile 2020

La nuova finanza per le imprese in difficoltà: un capitolo tutto da (ri)scrivere – a cura di Alberto Guiotto

  • Crisi su crisi: i limiti del Decreto Liquidità

Sono ormai numerosi i commenti, su LinkedIn e sulla stampa specialistica, sulla portata e sulle modalità operative delle norme varate dal Governo per sostenere finanziariamente le imprese danneggiate dalla pandemia da Coronavirus. In particolare, la nuova finanza bancaria destinata ad essere garantita da SACE e dal Fondo centrale di garanzia sta generando grande attesa, alimentata sia dalle legittime aspettative degli imprenditori sia dalla inaspettata (ma per i non addetti ai lavori) complessità della sua erogazione. L’auspicio e la convinzione sono che la maggior parte delle imprese in bonis riuscirà a ottenere, forse in ritardo ma comunque in misura sufficiente, la liquidità che è condizione necessaria per proseguire l’attività

È mia intenzione, qui, provare a svolgere qualche ragionamento sulle numerose imprese che alla nuova finanza promossa – e promessa – dal Decreto Liquidità non potranno accedere, perché in difficoltà o titolari di posizioni debitorie deteriorate.

In un mio precedente contributo avevo segnalato che la finanza garantita, in linea generale, è destinata soltanto alle imprese in bonis e ne sono esclusi i soggetti che presentano esposizioni classificate come “inadempienze probabili” (o “unlikely to pay”, o UTP) e “scadute o sconfinanti deteriorate” verso il sistema bancario.

L’esclusione opera, di fatto, in misura sostanzialmente analoga sia per i finanziamenti garantiti dal Fondo sia per quelli garantiti da SACE, salva la differenza di wording e una limitata differenza temporale: nel caso del Fondo l’esclusione opera per le posizioni anteriori al 31 gennaio 2020 mentre per la garanzia SACE il cut-off è al 29 febbraio 2020.

Per tutte le imprese in crisi, indipendentemente dalle loro prospettive e dallo stato del loro percorso di risanamento, è quindi preclusa la nuova finanza garantita dal Decreto Liquidità se presentavano un deterioramento del proprio merito creditizio prima dell’esplosione della pandemia Covid-19.

La situazione è particolarmente penalizzante per le imprese in situazione di temporanea difficoltà che, prima dell’emergenza Coronavirus, avessero già intrapreso trattative con gli istituti di credito per una rimodulazione del loro debito qualora anche uno solo degli istituti coinvolti abbia effettuato classificato il proprio credito tra gli UTP o tra le scadute o sconfinanti deteriorate. La presenza anche di una sola segnalazione tra le esposizioni deteriorate, infatti, impedirebbe la conferma della situazione clean che la banca stessa, a seguito di proprie verifiche, deve rilasciare a SACE per la concessione della garanzia (cfr., al proposito, il Manuale Operativo SACE per la concessione delle garanzie da Decreto Liquidità); sebbene non vi sia un’analoga previsione per i finanziamenti garantiti dal Fondo centrale di garanzia, ritengo che l’elemento ostativo sia il medesimo.

Considerazioni diverse dovrebbero invece valere nel caso in cui una o più classificazioni pregiudizievoli presenti al 29 febbraio (o al 31 gennaio) 2020 siano rimosse dalle banche dopo quella data. Sebbene la lettera della legge e il manuale Operativo SACE facciano riferimento a esposizioni deteriorate presenti alla data del 29 febbraio 2020, appare davvero illogico e incoerente con la norma che una società che sia stata in grado di superare autonomamente la propria precedente crisi non possa ora giovarsi del supporto che il Governo ha assicurato a tutti i soggetti in bonis.

Una seconda categoria di imprese non ammesse ai finanziamenti garantiti da SACE sono le imprese che al 31 dicembre 2019 potevano essere considerate in difficoltà ai sensi della normativa europea di riferimento. Si tratta, in questo caso, di imprese i cui crediti potevano anche non essere classificati tra le posizioni deteriorate dal sistema bancario ma i cui parametri aziendali non erano in equilibrio. Tra questi parametri, un particolare rilievo assumono sia il rapporto tra l’ammontare complessivo dei debiti e il patrimonio netto, qualora negli ultimi due anni esso sia stato superiore a 7,5, sia il rapporto tra EBITDA e oneri finanziari, qualora negli ultimi due anni esso sia stato inferiore a 1.

Si tratta, a tutta evidenza, di livelli patologici che potrebbero però essersi verificati, anche singolarmente, non solo in una fase di aggravamento della crisi ma anche in una fase di graduale risanamento. In entrambi i casi, peraltro, la presenza di uno scostamento biennale nei ratios appena descritti impedirà l’accesso alla finanza garantita da SACE, mentre non dovrebbero rappresentare di per sé un fattore ostativo all’ottenimento della nuova finanza garantita dal Fondo centrale di garanzia.

  • Imprese non (ancora) risanate: che fare?

Quali rimedi sono praticabili, dunque, per le imprese in difficoltà che non possano accedere alla finanza garantita promessa dal Decreto Liquidità?

I mezzi disponibili sono, purtroppo, limitati.

Il rimedio ideale dovrebbe essere il supporto dei soci attraverso un apporto di mezzi propri: la soluzione, peraltro, rischia di essere solo teorica se l’apporto dei soci non sarà affiancato, come normalmente accade, da un intervento da parte degli istituti di credito al fine di rafforzare e riequilibrare la struttura finanziaria dell’impresa.

Un incentivo all’intervento dei soci è peraltro contenuto nell’art. 8 del Decreto Liquidità, che sospende sino al 31 dicembre 2020 la postergazione dei nuovi finanziamenti da parte dei soci per le S.r.l. e le S.p.A. a ristretta base azionaria: la nuova finanza erogata dai soci, pertanto, potrà avere lo stesso rango dei debiti bancari ed essere rimborsata di conseguenza.

In assenza di un intervento dei soci e in mancanza di garanzia da parte di SACE o del Fondo, appare inevitabile che la nuova finanza bancaria possa essere concessa solo attraverso gli strumenti protettivi già conosciuti: un piano attestato di risanamento ex art. 67 l. fall., o un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall., o un concordato con continuità aziendale.

In tutti questi casi una concreta garanzia per la restituzione del finanziamento concesso potrà venire solo dalla prededuzione prevista dagli artt. 182 quater e 182 quinques l. fall. applicabili all’accordo di ristrutturazione dei debiti e al concordato preventivo con continuità aziendale: strumenti, è bene ricordarlo, entrambi di natura giudiziale (e secondo molti, concorsuale) che prevedono un’omologazione da parte del tribunale e la pubblicità dello stato di crisi. Il piano attestato ex art. 67 l. fall., nonostante la sua maggiore duttilità e rapidità d’uso, potrebbe invece essere penalizzato dall’assenza di prededuzione per la nuova finanza: quest’ultima potrà, pertanto, trovare garanzia solo in pegni e ipoteche sul patrimonio del debitore o in garanzie esterne, per fideiussioni concesse dai soci o altri soggetti interessati.

Il tema dell’accesso alla nuova finanza da parte delle imprese in difficoltà è, in conclusione, un argomento della massima importanza per gli impatti che rischia di avere nel prossimo futuro, non solo per le imprese direttamente coinvolte ma anche per i soggetti indirettamente interessati perché creditori, o clienti, o fornitori.

Appare necessario, quindi, un intervento normativo organico che possa consentire non solo di mettere in sicurezza solo le imprese in bonis, ma anche di risanare e rilanciare le imprese che meritino di essere salvate.