03 Maggio 2020

Recovery Fund e Pari Passu: nuovi paradigmi per il salvataggio delle imprese o strumenti per la loro nazionalizzazione?  – a cura di Alberto Guiotto

Appare ormai chiaro a (quasi) tutti come la garanzia offerta da SACE e dal Fondo Centrale di Garanzia per i finanziamenti alle imprese danneggiate dall’epidemia da Covid-19 possa agevolare l’afflusso di nuova finanza alle imprese ma non risolva un problema (anzi: IL problema) di fondo: la crisi generata dall’emergenza sanitaria ha, innanzi tutto, natura reale e moltissime imprese italiane sono destinate, nel 2020 e probabilmente per anche nei messi successivi, a generare perdite o, comunque, flussi finanziari non sufficienti a sostenere il loro indebitamento.

Anche volendo ignorare i covenants dei finanziamenti già esistenti (sia PFN / EBITDA sia PFN/PN sono destinati a peggiorare drasticamente, a causa del deterioramento dei numeratori e dei denominatori), è molto probabile che una parte non trascurabile delle imprese che ricorreranno ai prestiti agevolati dal Decreto Liquidità (i c.d. “Finanziamenti Covid”) non sarà in grado di fare fronte in futuro ai suoi impegni finanziari. D’altro canto, la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione prevista dall’art. 6 del Decreto Liquidità è temporanea, e già nel 2021 è possibile molti imprenditori debbano affrontare il tema della ricapitalizzazione delle loro aziende.

Il Governo, in queste ore, sta valutando interventi specifici di sostegno patrimoniale alle imprese con strumenti differenziati in base alle loro dimensioni. Le ipotesi di lavoro, del tutto nuove nel panorama italiano, meritano qualche considerazione preliminare in attesa di conoscere i dettagli operativi che, a quanto ci risulta, sono tuttora oggetto di accese discussioni tra le forze della maggioranza e intervallano delle task force coinvolte.

Non può essere ignorato, peraltro, il rischio che un intervento statale su larga scala possa configurarsi come una nazionalizzazione di fatto di una porzione molto ampia del nostro sistema imprenditoriale, le cui conseguenze sono oggi difficilmente prevedibili e valutabili.

Il Recovery Fund nazionale

È prevista, innanzi tutto, l’istituzione di un fondo dedicato al supporto delle imprese di maggior dimensioni, con un patrimonio previsto di circa 50 miliardi di euro, gestito da Cassa Depositi e Prestiti. Le imprese beneficiarie saranno quelle con ricavi non inferiori a 50 milioni di euro: il fondo, dunque, non sarà destinato alle PMI mentre potranno comunque beneficiarne un numero molto ampio di imprese.

Molto delicata sarà la modalità di intervento. Mi sembra assai improbabile un intervento diretto nel capitale sociale delle imprese, che trasformerebbe questo strumento in un gigantesco fondo nazionale di Private (o Public?) Equity senza che le dimensioni dei singoli investimenti, né la tempistica necessaria, né le regole di governance siano compatibili con gli obiettivi che il Governo intende perseguire.

Appare molto più probabile, invece, che il fondo sia destinato ad acquistare e gestire strumenti finanziari partecipativi (SFP) risultanti dalla conversione di Finanziamenti Covid. L’utilizzo di SFP, prefigurato già alcune settimane fa da autorevoli commentatori (cfr. P. Rinaldi e L. Stanghellini: https://blog.ilcaso.it/news_881), ha già avuto l’endorsement di Assonime e appare effettivamente come la soluzione migliore per fare fronte al probabile deficit patrimoniale delle imprese nello scenario post-Covid, anche attraverso il trasferimento degli SFP dai titolari originari (le banche creditrici) a un veicolo di cartolarizzazione, probabilmente gestito e/o garantito da Cassa Depositi e Prestiti con un meccanismo analogo alla GACS.

Gli SFP, peraltro, sono strumenti complessi e flessibili, che richiedono una conoscenza approfondita e una disciplina molto ben calibrata. Vi sono, a questo proposito, numerosi elementi che dovranno necessariamente essere valutati quali, ad esempio, la loro natura (SFP-equity o SFP-debito), i loro diritti amministrativi e patrimoniali, le modalità di exit, la loro redimibilità da parte dell’impresa debitrice e la loro valorizzazione. Con riferimento a quest’ultimo elemento, non può non essere considerato che ben difficilmente le banche accetteranno di concedere Finanziamenti Covid con il rischio di una loro futura conversione in SFP che possa generare perdite superiori a quelle prevedibili in ragione della garanzia di SACE (o MCC) e del merito creditizio del debitore.

Il prezzo di trasferimento alla SPV di cartolarizzazione, quindi, dovrà sostanzialmente coincidere col valore nominale del credito sottostante, lasciando sia il rischio di perdita di valore sia l’opportunità (assai più rara) di guadagno in capo alla SPV o al soggetto garante.

Le caratteristiche dell’intervento di questo Recovery Fund nazionale, quindi, dipenderanno grandemente dalla disciplina che il Governo e i tecnici incaricati stanno delineando in queste ore e che ci si aspetta molto articolata.

Il meccanismo “pari passu”

Una seconda modalità di intervento riguarderà le imprese con un fatturato tra 5 e 50 milioni di euro, per le quali il Governo sta ipotizzando un meccanismo di intervento pari passu con la ricapitalizzazione da parte dei soci: l’intervento statale a fondo perduto sarà equivalente, quindi, al contemporaneo apporto di capitale da parte dei soci.

Anche in questo caso le incognite non mancano, posto che l’intervento a fondo perduto dello Stato è previsto “a certe condizioni”. Sulla natura di queste “condizioni” è necessario attendere chiarimenti, mentre qualche considerazione va fatta sin d’ora sulla possibilità che i soci non siano affatto in grado di ricapitalizzare adeguatamente la loro impresa. In questo caso, un rimedio parziale potrebbe essere ricercato, ad esempio, nella possibilità di introdurre incentivi fiscali per la ricapitalizzazione dell’impresa a favore sia degli attuali soci (una sorta di ACE rafforzata), sia di possibili nuovi investitori: eventualità, quest’ultima, già proposta da diversi commentatori traendo spunto dalla disciplina degli investimenti in start-up e PMI innovative (cfr. sul punto Paolo Alinovi, Banche ed imprese nell’epidemia: una proposta operativa).

L’investimento statale pari passu presenta, in ogni caso, le medesime incognite del Recovery Fund per quanto riguarda (a) i meccanismi di exit e (b) i diritti amministrativi e patrimoniali spettanti al socio statale: incognite che, essendo relative alle imprese con ricavi superiori a cinque milioni di euro, si riflettono sulla produzione della massima parte del PIL.

Sotto questo profilo, dunque, l’intervento governativo è destinato a incidere enormemente sull’intero apparato produttivo italiano, e richiederà una grandissima attenzione nella sua applicazione concreta, che non potrà essere affrontata con superficialità ma che richiederà, piuttosto, un’attenta valutazione da parte delle imprese e dei loro consulenti.

I contributi a fondo perduto

Per le attività di minore dimensione, con ricavi inferiori a cinque milioni è allo studio l’erogazione di contributi a fondo perduto, che possano sostenere l’operatività aziendale senza gravare sulla struttura finanziaria, presumibilmente già molto debole, consentendo la sopravvivenza dell’impresa.

Anche in quest’ultimo caso, è necessario attendere di conoscere la portata e le condizioni per questo supporto che, considerata la difficilissima situazione congiunturale, saranno determinanti per la sopravvivenza di un larghissimo numero di imprese del nostro territorio.